Articolo del 05/05/01

Un villaggio da salvare Il parroco si mobilita

FAENZA - "La festa della prima domenica di maggio, a Lozzole, sono anni che la coltivo, ma sembrava sempre di essere al muro del pianto, a piangere il declino inesorabile di quel posto". A parlare è don Antonio Samorì, il parroco di Ronco che dopo Trebbana e i lavori all'eremo di Gamogna si accinge a compiere una nuova impresa sul nostro Appennino: salvare Lozzole. Quest'anno sarà diverso: "Domani alle 15 - prosegue Samorì – reciterò una messa in quella chiesa semidistrutta, e spero, nell'occasione, di fare vedere passi concreti nella giusta direzione, dopodiché, a Dio piacendo, e finito questo lavoro, prometto che vado in pensione". Simbolicamente sarà posta la prima pietra di un restauro che si presenta difficile, ma che affascina l'immaginario collettivo, in un'epoca dove i "villaggi sono globali", dominati dal web, dalle luci, dal traffico, dalla frenesia, nemica del tempo. A Lozzole è tutto il contrario. Siamo in comune di Palazzuolo e regna un silenzio da favola. Selciati di pietra serena serpeggiano tra "otto" case incrociate e dimenticate. La chiesa, in sasso, con audace portico sullo strapiombo è dedicata a san Bartolomeo e pare risalga al XIII secolo, costruita esattamente sullo spartiacque tra i fiumi Lamone e Senio. Non c'è corrente elettrica, non c'è acqua, dominano cataste di sassi, erbacce e strutture fatiscenti, ma rara bellezza con architettura tipica della Romagna toscana. L'ultima famiglia abbandonò il borgo una decina di anni dopo la seconda guerra mondiale, stanca di un isolamento che doveva sembrare atroce. A quei tempi risale però anche l'ultimo edificio costruito, un circolo ricreativo, che, evidentemente ha funzionato per un periodo brevissimo. Secondo testi storici il "Castrum Lozzole" apparteneva in origine alla famiglia Pisce, concessole dalla Chiesa fiorentina, che poi nel 1286 lo vendette agli Ubaldini. Diventato un covo di ghibellini, nel 1304 venne espugnato dai Fiorentini ai quali venne confiscato nel 1313 dalla Santa Sede. Sottomessosi l'anno seguente al Comune di Faenza, nel 1349 tornò in possesso degli Ubaldini che nonostante le vicissitudini lo mantennero fino al 1373, quando fu venduto ai Fiorentini per settemila fiorini d'oro. Un bislungo sperone roccioso denominato "Castellaccio", conserva ancora le tracce della rocca e del castello. Oggi chi conosce il posto sono soprattutto gli escursionisti. Per arrivarci sono due i percorsi consigliati: da Fantino, sulla statale 302 Brisighellese, si lascia la macchina e si raggiungono a piedi le località di Stabia, Fintomorto e quindi Lozzole (ci vuole circa un'ora e mezzo); da Palazzuolo il percorso è fattibile anche in macchina, passando per Guadalto, ma serve un fuoristrada. Il luogo è bellissimo: "Vi garberà", scrive don Antonio in una lettera agli amici, invitandoli a partecipare alla festa di domani. Per portare a termine l'impresa si conta sull'aiuto di benefattori e volontari da impiegare nel cantiere. Finora la prima mossa è stata di ottenere lo spostamento delle competenze dall'Istituto diocesano per il sostentamento del clero di Firenze a quello di Faenza e, tramite questo, a don Samorì. La Chiesa e la canonica saranno i primi edifici ad essere ristrutturati, non appena vi sarà il parere favorevole della Soprintendenza in base al progetto già esistente, eseguito da Vito Fiore di Faenza. Ma il parroco di Ronco non esclude che tutto il borgo possa rivivere.

Francesco Donati